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Coronavirus & Cannabis terapeutica

L’anno del 2020 passerà alla storia come uno degli anni peggiori che senza aver provocato nessun danno strutturale, ha causato, negli stati uniti, più vittime della Seconda Guerra Mondiale.
l numero dei decessi per Covid-19 negli Stati Uniti è pari a 405.622 ed ha superato i 405.399 morti americani fra militari e civili (cifra ufficiale del Dipartimento per i reduci) e lo Stato di New York rimane il più colpito del paese con 41.587 morti.
La cannabis terapeutica può aiutarci a combattere il Coronavirus e il suo disturbo da stress post traumatico?
Per molte persone, la pandemia rischia di lasciare veri e propri traumi, infatti il virus ha avuto, e continua ad avere, conseguenze fisiche, sociali ed economiche cambiando la vita quotidiana delle persone e il modo di rapportarsi agli altri individui (distanza sociale, paura del prossimo). La paura e lo stress che si prova nel vivere questa situazione ci ha portato ad uno status di stress psico-fisico che ha causato in molte persone la sintomatologia tipica del disturbo da stress post-traumatico (PTSD) con sintomi che includono: angoscia e stati d’ansia, depressione, preoccupazione e insonnia. Mentre la pandemia da Covid-19 continua a seminare preoccupazioni e problemi ovunque, la ricerca di metodi di cura e prevenzione efficaci prosegue senza sosta. Potrebbe esserci la possibilità che alcuni tipi di cannabis terapeutica possano di fatto alleviare i sintomi di Covid-19 (clicca qui) e ricoprire un ruolo preventivo, abbassando le probabilità di venire infettati. A suggerirlo è uno studio in preprint (quindi non ancora sottoposto a peer review) condotto dall’università di Lethbridge, in Canada.
C’è un solido ragionamento dietro l’ipotesi che la cannabis e i suoi costituenti cannabinoidi come il CBD e il THC, possano essere usati per trattare i vari sintomi del COVID-19, ovvero un ragionamento basato sull’ipotesi che i decessi associati al virus siano dovuti, in gran parte, ad una risposta immunitaria dell’organismo troppo reattiva. Quando l’organismo ha una rapida risposta da parte del sistema immunitario, ad esempio nei casi gravi di COVID-19, l’infiammazione risultante può danneggiare i tessuti dell’organismo stesso che nel caso del tessuto polmonare, può comportare il verificarsi di un’insufficienza respiratoria. Il THC e il CBD possono alterare la risposta infiammatoria del corpo e contribuire ad evitare danni ai tessuti e agli organi regolando, infatti, le stesse proteine infiammatorie responsabili di alcuni dei danni provocati dal virus del COVID-19. Tuttavia, c’è da mettere in conto che i cannabinoidi possono ridurre troppo la risposta immunitaria ed il fumo, di qualsiasi tipo, è un possibile fattore di rischio per il peggioramento dei sintomi. Per promuovere o bocciare i cannabinoidi come trattamento nella cura del COVID-19, i farmaci devono essere testati a fondo per dimostrarne la sicurezza e l’efficacia ed è qui che entrano in gioco gli studi clinici.
Cercando tra i database della ClinicalTrials.gov, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la FDA e le agenzie di stampa, sono stati identificati sedici gruppi attualmente al lavoro per sviluppare terapie contro il COVID-19 usando cannabis o cannabinoidi. Dieci gruppi sono ancora in fase di pianificazione o di ricerca iniziale e non hanno trasmesso ancora alcun risultato. Solo due di questi gruppi hanno completato gli studi ottenendo risultati positivi delle ricerche che hanno previsto la sperimentazione su topi con sintomi correlati al COVID-19. Uno dei due studi ha dimostrato che il THC protegge i polmoni da risposte immunitarie iperattive simili a quelle causate dal COVID-19, mentre l’altro ha mostrato una risposta simile durante il test del CBD. Oggi sono quattro gli studi di ricerca sull’efficacia dei cannabinoidi che prevedono la sperimentazione sugli esseri umani, e le loro campagne saranno attive nei prossimi mesi e nessuno dei quattro gruppi ha ancora prodotto dei risultati completi. Non è certo che i dati positivi ottenuti dagli esperimenti possano convincere i grandi organismi come la FDA negli Stati Uniti o l’Agenzia europea per i medicinali dell’UE, ad approvare i trattamenti per i loro cittadini poiché ciò richiederebbe studi in più sedi e con più pazienti volontari.
Come agisce il CBD?
I test svolti sugli estratti di Cannabis sativa terapeutica ad alto contenuto di cannabidiolo (Cbd) e Thc su modelli 3D di tessuti umani, dimostrano una diminuzione dell’espressione delle proteine Ace2 e Tmprss2, che il coronavirus Sars-Cov-2 sfrutta per entrare nelle cellule del nostro organismo. Secondo i ricercatori, il Cbd è in grado di modulare l’espressione genica delle porte di accesso del virus diminuendone il numero e quindi riducendo la possibilità che il virus infetti le cellule sane, però per ora sono solo risultati preliminari, ancora da confermare, e che quindi è prematuro pensare a un’applicazione clinica. Tuttavia, se si dovessero rilevare attendibili, i cannabinoidi potrebbero costituire un ulteriore strumento di supporto nella lotta al coronavirus. È gia noto quali siano gli effetti del CBD sulle infiammazioni generiche del nostro organismo, ma i ricercatori hanno scoperto che l’effetto antinfiammatorio del CBD potrebbe essere dovuto all’interazione con l’Apelina, ovvero una molecola normalmente presente nel nostro organismo.
L’Apelina è un peptide endogeno situato principalmente nei polmoni, cuore, fegato, intestino, reni e nel Sistema Nervoso Centrale, che sono gli elementi che costituiscono i distretti dell’organismo dove maggiormente è localizzato il Sistema Endocannabinoide. Questo peptide agisce principalmente attivando il recettore APJ con la conseguente diminuzione del rilascio dei mediatori dell’infiammazione e del reclutamento delle cellule immunitarie. L’Apelina induce anche un effetto ipotensivo dovuto all’interazione con l’enzima ACE-2, localizzato sulla superficie di molte cellule, in particolare quelle polmonari. Infatti, l’Apelina e l’ACE2 normalmente lavorano insieme per controllare la pressione sanguigna. Quando la pressione sale oltre certi livelli, un aumento di entrambi può essere utile nel ridurre la pressione sanguigna e l’attività cardiaca. L’ACE-2 è però anche la porta di ingresso del Sars-Cov-2 (covid-19) nel nostro organismo. Esso, infatti, possiede una proteina glicosilata che si lega all’ACE-2 e consente l’ingresso all’interno delle cellule. I dati delle ricerche svolte in ambito universitario, dimostrano che durante un’infezione virale i livelli di plasma di Apelina calano vertiginosamente ed il CBD contrasta questa riduzione, riportandola e livelli normali ed esercitando un forte effetto antiinfiammatorio tale da contenere i danni polmonari causati dall’infezione virale, come nel caso del Corona Virus.
Inoltre, monitorare i livelli plasmatici di questo peptide potrebbe essere utile per capire la progressione dell’infezione virale e dell’efficacia di altre soluzioni farmacologiche: i livelli di Apelina si abbassano come conseguenze di un’infezione virale e se il CBD è un farmaco efficace nel contrastare l’infezione i livelli di Apelina, di conseguenza, torneranno ad essere stabili. Poiché il peptide interagisce anche con l’ACE-2, questi risultati potrebbero aiutare anche nella gestione del Covid-19. Saranno necessari ulteriori studi preclinici e clinici per confermare l’efficacia del CBD nel trattamento del virus.
Il CBD ai tempi del Covid-19.
Nei primi mesi di quarantena forzata (clicca qui), dove per strada non si poteva stare se non con l’autocertificazione, si è registrato un vero e proprio incremento delle vendite di Cannabis light. Gli e-commerce mettono a disposizione un assortimento molto ampio e offre la possibilità di ricevere direttamente a casa gli articoli che vengono ordinati online, come il servizio di Just Eat o di Deliveroo. Nel corso degli ultimi mesi, il consumo di cannabis è aumentato più o meno del 30%, e a differenza degli altri settori colati a picco, quello della cannabis è riuscito a resistere, vedendo addirittura un incremento della vendita dei propri derivati, reso possibili anche grazie alla comparsa di distributori automatici e negozi in tutta Italia. Si tratta di un settore che accoglie più di 10mila addetti ai lavori, con circa 1.500 aziende che sono coinvolte nella trasformazione della canapa e un totale di 800 aziende agricole produttrici, numeri che non si erano mai visti in precedenza e che apportano un fatturato totale di più di 150 milioni di euro.
Lo stop delle attività e la crisi che ne è conseguita, non hanno bloccato il mercato della cannabis legale e tante persone, per trovare un po’ di relax nel contesto di reclusione forzata, hanno deciso di affidarsi a prodotti a base di CBD. Come abbiamo visto, il consumo di canapa light in tutte le città del Paese è cresciuto in modo significativo da quando le misure restrittive sono entrate in vigore. Se il lato ludico/ricreativo di una sostanza senza principio attivo è tanto richiesto, abbiamo buoni motivi per credere che le persone, per combattere tutte le sintomatologie post-traumatiche della diffusione del virus, desiderino avere accesso alle risorse di Cannabis terapeutica in modo più rapido e immediato. Ottenere un certificato medico in Italia è abbastanza complicato, bisogna farsi spazio tra medici scettici e conservatori che non valorizzano il potenziale della cannabis terapeutica, e associazioni che permettono di fare il certificato attraverso una sottoscrizione, a volte, abbastanza ingente. È noto quanto sia complicato procurarsi risorse terapeutiche in farmacia, questo perché le quantità prodotte nel territorio italiano non sono sufficienti a ricoprire il fabbisogno dei pazienti.
La vendita e la produzione in Italia
Dal 2013, le infiorescenze di Cannabis sono legalmente vendibili in farmacia per uso terapeutico, dietro presentazione di ricetta medica, fin da sempre importata in Italia (e in Europa) da coltivazioni Olandesi. L’Olanda per motivazioni storiche e culturali ha una legislazione diversa ed ha facilitato la possibilità di effettuare studi sulle capacità terapeutiche di questa pianta. Il solo fatto che si tratti di qualcosa di cui è possibile parlare “alla luce del sole” ha reso possibili diverse evoluzioni rispetto al resto del mondo. In Italia, Il 18 settembre 2014 è stato perfezionato un accordo tra il Ministro della Difesa, Sen. Roberta Pinotti e il Ministro della Salute, On.le Beatrice Lorenzin, riguardante un progetto pilota per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis. Le competenze del personale militare e civile dello Stabilimento nonchè le capacità produttive e di controllo qualità proprie di una industria farmaceutica, unite peraltro ad un livello di sicurezza tipico di una installazione militare, sono stati elementi determinanti nella scelta operata dai Dicasteri della Difesa e della Salute nell'esclusivo interesse della collettività nazionale per la cure di patologie gravi e altamente invalidanti, come la sclerosi multipla, la sclerosi laterale amiotrofica, il glaucoma, le malattie neoplastiche tutte patologie nelle quali i preparati a base di cannabis sembrano essere molto efficaci e con un rapporto rischio-beneficio nettamente a favore di quest'ultimo.
Dalla fine del 2016 dal progetto pilota, conclusosi positivamente, si è passati ad una produzione su scala industriale di preparazioni a base di cannabis con l'intento di soddisfare la sempre più crescente domanda di tale farmaco, a cura di istituzioni sanitarie e farmacie private. La tipologia di Cannabis prodotta dallo stabilimento Militare italiano è l’FM1 e l’FM2 i quali principi psicoattivi non superano l’8% (THV) e il 12%(CBD). Quali sono le caratteristiche della Cannabis terapeutica italiana? La sigla FM sta per Farmaceutico Militare, il numero 2 si riferisce alla presenza di entrambi i due principali costituenti attivi della pianta, il THC e il CBD; quantitativamente è simile per composizione alla varietà Bediol (olandese). Nella cannabis militare il THC è stimato in percentuali tra il 5 e l’8% mentre il CBD tra il 7,5 ed il 12%. Il ministero la descrive come «costituita da infiorescenze femminili non fecondate, essiccate e macinate con granulometria inferiore a 4 mm». Il costo del prodotto rispetto alla produzione olandese ha una leggera convenienza, come da tariffa nazionale (obbligo di legge e il cui ultimo aggiornamento risale al 1992) il prezzo è calcolato aggiungendo l’Iva e quindi raddoppiando il prezzo di acquisto e in questo caso corrisponde ad un importo finale per il paziente di 15 € al grammo.
La prescrizione di cannabis terapeutica, sia l’olandese Bediol Floss (THC 6% e CBD 8%) che l’italiana Cannabis FM2 (THC 5-8% and CBD 7-12%) è utilizzata per contrastare il dolore ed è la più diffusa, in quanto il rapporto tra Cannabidiolo (CBD) e Delta-9-tetrahydrocannabinolo (THC) assicura un effetto equilibrato tanto a livello nervoso che muscolare: I risultati delle ricerche dimostrano che, di fronte a un effetto similare dei due farmaci sulla riduzione dell’intensità del dolore nel corso del tempo, aspetto quantitativo, il trattamento con FM2 si dimostra maggiormente efficace per quanto riguarda le dimensioni qualitative associate all’esperienza del dolore; nel trattamento con Cannabis FM2 si registra una minor presenza di effetti collaterali, minor frequenza d’assunzione del tradizionale analgesico e una maggior riduzione della sintomatologia ansiosa e depressiva. Le modalità di prescrizione per ottenere la cannabis FM2 italiana dello stabilimento farmaceutico Militare di Firenze sono identiche a quelle della cannabis olandese, cambia solo il nome. La ricetta può quindi essere redatta da qualsiasi medico, su normale ricettario in bianco. Non ci sono inoltre vincoli prescrittivi alla libertà del medico, che prescrive sempre secondo scienza e coscienza e in base alla già citata Legge 94/98.
Fonti: