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- Écrit par : Francesco Nicoletta
- Catégorie : Legalizzazione
Cannabis light e la continua caccia alle streghe.

Era un po’ che non se ne parlava, eppure eccoci qui, di nuovo nella totale confusione.
Certo, non è che i giorni precedenti siano stati più chiari e tranquilli, ma qualche giorno fa, stando alle fonti online, è stato approvato un vecchio decreto precedentemente sospeso per via delle proteste degli operatori di settore, mirato a inserire la canapa tra le piante officinali.
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Il decreto porterebbe a considerare le foglie e le sue infiorescenze al pari degli stupefacenti normati dal testo unico di riferimento; quindi, tenterebbe di imporre (subito dopo i cugini francesi) il divieto di consumo delle infiorescenze di cannabis light, cioè quelle genetiche registrate europee che producono infiorescenze con un contenuto irrisorio di Thc e quindi non psicoattivo. Ciò non è rimasto inosservato, soprattutto in un momento in cui lo Stato italiano e i suoi imprenditori soffrono a causa della situazione emergenziale sanitaria, l’ultima cosa che ci vorrebbe è far perdere agli oltre 10.000 lavoratori italiani inseriti nel mondo della cannabis light, il posto di lavoro a causa di normative ministeriali incompetenti.
L’associazione di Canapa sativa Italia afferma che:
«Nel caos normativo e in un quadro già caratterizzato da interpretazioni non omogenee nelle varie procure, il rischio è che venga azzerata la coltivazione e prima trasformazione per tutti gli altri usi e indotti non farmaceutici. Questo decreto può tradursi in diverse e costose operazioni di sequestri che porterebbero a lunghi processi comunque in assoluzione, perché si tratta di fiori non stupefacenti e quindi non assoggettabili al DPR 309/90.»
Nel quadro generale del nuovo decreto, quello che peserebbe maggiormente sono il comma 3 che sancisce l’inserimento nel gruppo delle piante officinali anche delle coltivazioni indoor e dell’attività florovivaistica e il punto 4 del decreto che prevede:
«La coltura della Cannabis sativa L. delle varietà ammesse per la produzione di semi e derivati dei semi è condotta ai sensi della legge 2 dicembre 2016, n. 242, recante disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa. La coltivazione delle piante di Cannabis ai fini della produzione di foglie e infiorescenze o di sostanze attive a uso medicinale è disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, che ne vieta la coltivazione senza la prescritta autorizzazione da parte del Ministero della salute»
Un grossissimo problema per tutti gli imprenditori dunque. Essa metterebbe fuori legge tutte le aziende che oggi compongono la filiera italiana della cannabis light, che, come visto negli articoli precedenti, avevano triplicato la loro presenza su tutto lo stivale in questi anni di sviluppo dalla legge 242. Il decreto all’articolo 1 punto 4 fa sottostare «la coltivazione delle piante di cannabis ai fini della produzione di foglie e infiorescenze o di sostanze attive a uso medicinale» al Testo Unico sugli stupefacenti, a prescindere dal livello di Thc. Quindi per gli imprenditori non sarà più necessario avere una partita iva per operare, ma bisognerà avere anche l’autorizzazione del ministero della Salute.
Antonella soldo di Meglio Legale ha dichiarato:
«Una decisione del tutto antiscientifica e antigiuridica che viene presa mentre l’Organizzazione mondiale della Sanità raccomanda l’esclusione della cannabis dalle sostanze più pericolose».
Possiamo dire che l’Italia non ha più scuse, se l’Onu ha persino tolto la cannabis dalla lista delle sostanze dannose e molti Paesi si muovono in una direzione opposta. Prendendo esempio dalla vicina Germania, in cui il dibattito sulla legalizzazione è particolarmente attuale.
Nel mentre la Germania.
Al momento la Germania adotta, in merito alla più diffusa delle droghe leggere, un atteggiamento tollerante con riserva: il consumo non è criminalizzato, ma lo sono la vendita e il possesso. Solo la vendita a scopo terapeutico è concessa, ma almeno così è stato fino a questo momento. Con l’elezione del nuovo governo tedesco di maggioranza SPD, FDP e Verdi, nel documento prodotto dal gruppo di lavoro si legge che la vendita di cannabis per uso ricreativo agli adulti sarà legalizzata, ma controllata, limitata a negozi autorizzati, con rigorose verifiche di qualità onde evitare la distribuzione di sostanze contaminate e garantire la protezione dei minori. Robert Habeck, leader dei Verdi, ha ricordato che un mercato controllato "stroncherebbe il mercato nero e garantirebbe allo Stato abbastanza soldi per finanziare campagne di informazione e di prevenzione".
L'Università Heinrich Heine di Düsseldorf ha calcolato che garantirebbe 3,7 miliardi di euro di introiti fiscali in più 1,3 miliardi di euro di risparmi sulla sicurezza e 27mila nuovi posti di lavoro in più. Quasi cinque miliardi di euro che il governo tedesco si ritroverà in tasca ogni anno. Questo non vuol dire che ci si aspetti una scomparsa totale dello spaccio dopo la legalizzazione. Proprio come avviene con le sigarette di contrabbando, alcune sacche di criminalità cercheranno senza dubbio di convincere i clienti con offerte a buon mercato, ma sulla bilancia delle scelte individuali peserà, secondo Buschmann, la tranquillità di poter acquistare uno stimolante senza incorrere in rischi legali. Fino a questo momento, in Germania, la vendita di cannabis per usi non medici è stata vietata. A partire dal 2017, invece, è stato liberalizzato l’uso farmacologico della sostanza, che deve essere però prescritta da un medico, solitamente a scopi analgesici.
Intanto a malta.
Il voto sulla legalizzazione conclude un percorso cominciato lo scorso anno con la presentazione di un “libro bianco” con le proposte del partito laburista per la legalizzazione, seguita da una consultazione pubblica di sei mesi. A dire 'no' oggi sono stati i deputati del Partito Nazionalista, all'opposizione, che inizialmente si era espresso a favore della riforma. Una quarantina di Ong hanno invece firmato una petizione chiedendo modifiche alla proposta di legge, tutte respinte dal governo. Tra queste, ad esempio, la richiesta di introdurre un tetto alla quantità di Thc, cosa che avrebbe lasciato aperta una porta al mercato nero, quando lo scopo principale della riforma voluta dal governo laburista è invece proprio la lotta contro le mafie. A malta non prevedono un sistema commerciale ma associazioni senza scopo di lucro, i club, che potranno coltivare per conto dei soci (massimo 500) e cedere loro fino a 7 grammi al giorno e 50 al mese. Nati e sviluppatisi fra le maglie della legge in Spagna e Belgio, i Cannabis social club si occuperanno di rifornire gli iscritti con quantità che possano soddisfare il consumo personale di ogni tesserato. A Malta sarà la prima volta che questo sistema di organizzazione sarà messo alla prova come unico canale di distribuzione legale e accreditato dei prodotti con Thc. Un modello non-profit che potrebbe limitare i rischi legati all’eccessivo tentativo di commercializzazione di una sostanza psicoattiva. I club inoltre consentono la costruzione di reti sociali e culturali che favoriscono la condivisione delle esperienze e dei saperi, promuovendo un consumo consapevole.
Ma in italia non cambia.
Ma cosa cambierà effettivamente per la cannabis sativa L.? Nonostante le voci che girano su variate testate giornalistiche, oggi l’importante è cercare di non creare panico inutile e di fare chiarezza sull’evento della recente conferenza stato-regioni responsabile dell’approvazione del progetto del decreto interministeriale sulle piante officinali. Pare che le associazioni di filiera della canapa non abbiano nulla contro l’inquadramento tra le piante officinali della Cannabis sativa L. in quanto già in passato hanno sostenuto la natura “oggettivamente officinale”. L’importante è che sia chiaro che fiori e foglie di canapa sotto i limiti di legge, senza la violazione del DPR 309/90, prodotti e commercializzati ad uso esclusivamente ornamentale rientrano nell’art .2, comma 2, lettera g della legge 242, e quindi di libero commercio.
Per una maggiore chiarezza si sarebbe potuto distinguere tra la coltura delle varietà̀ ammesse per gli usi e le destinazioni previste dalla l.242/2016 che riguarda la produzione di foglie, infiorescenze e sostanze attive derivate dalla cannabis per uso e destinazione commerciale da quelle destinate all’uso farmaceutico. Ma il solo riferimento alla produzione dei semi e derivati dei semi risulterebbe limitativo nei confronti dello sviluppo agroindustriale della filiera. La formulazione del decreto rischia di generare fraintesi non includendo esplicitamente tutti gli altri usi già previsti dalla l.242/2016 e non chiarendo la possibilità̀ di realizzare i suoi derivati ottenuti dall’intera pianta.
Nella seconda parte del comma 4, il dubbio delle forze dell’ordine potrebbe sorgere benché sia chiaro che il periodo si riferisca alla sola produzione farmaceutica e la relativa autorizzazione ministeriale. Il riferimento a foglie e infiorescenze in questo periodo e non anche in quello precedente potrebbe indurre gli operatori delle forze di polizia ad effettuare sequestri per rispondere alla violazione del Testo Unico sostanze stupefacenti. Si rischia che le varietà̀ previste ed ammesse dalla normativa europea e dalla legge n. 242/2016, selezionate e certificate vengano per errore sottoposte alla stessa normativa prevista per le varietà̀ rilevanti ai sensi del DPR 309/90 (in questo caso le medesime), dalle quali sono naturalmente distinte da quelle ad uso medico.
La legge n. 242/2016 è intatta nella sua formulazione e l’autorizzazione per la cannabis farmaceutica destinata alle lavorazioni mediche è necessaria soltanto per quelle lavorazioni che hanno come finalità la realizzazione di prodotti specifici. Seguendo le regole della legge n. 242/2016 che è pienamente in vigore, per la produzione di cannabis light nulla è cambiato rispetto a ieri. Riguardo al decreto interministeriale di cui al comunicato le stesse associazioni stanno valutando insieme ai propri legali le strategie da intraprendere presso le sedi opportune coinvolgendo tutta la filiera.
In conclusione.
Nonostante i tentativi di interpretazione e rilettura del decreto ministeriale, siamo certi che tutta questa confusione porterà ad un incremento dei sequestri ad opera di qualche bravo addestrato poliziotto ai danni di onesti imprenditori italiani. Questo conferma la nostra teoria secondo il quale la cannabis sia perseguitata ingiustamente da più di cinquant’anni, una continua caccia alle streghe che pare non trovi pace, neanche quando nell’aria si respira odore di referendum abrogativo e timidi tentativi di legalizzazione. È una continua caccia, nonostante i progressi commerciali e sociali fatti in tutti questi anni in cui abbiamo assistito ad un incremento dei prodotti a base di olio di cannabis arrivati anche sul piccolo schermo, specie in ambito estetico e medicinale, il ruolo della canapa nei processi di rivoluzione green poiché è ecosostenibile. Alcune aziende italiane si fanno carico di attività sociali e regalano grammi di cannabis light per sopportare lo stress di chi è costretto a casa dal Covid, perché positivo o in quarantena come nel caso di Just Mary che risulta tra le principali piattaforme italiane di consegna a domicilio di cannabis legale.
Non dimentichiamo che per quanto possa succedere in Italia, la sentenza della Corte Europea si è già espressa in passato, secondo la quale in tutta l’Unione Europea i prodotti a base di CBD non possono essere considerati stupefacenti e possono essere commercializzati. Secondo la corte, uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del Cannabidiolo (CBD). È stato deciso lo scorso novembre e ha emesso una sentenza in cui viene ricordata la libera circolazione delle merci, tra cui anche il principio attivo della pianta di cannabis sativa. La sentenza riguarda un caso del 2014, quando i tribunali francesi condannarono per reati penali una società che commerciava e distribuiva una sigaretta elettronica all’olio di CBD. Il Cannabidiolo veniva prodotto in Repubblica Ceca usando l’intera pianta, per poi essere importato in Francia, dove venivano confezionate cartucce per sigarette elettroniche, la Francia però, consentiva l’utilizzo ai fini commerciale solamente di fibre e semi della canapa. Partendo da questo caso, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che il divieto imposto dalla Francia sulla commercializzazione dei prodotti a base di CBD, anche se estratti dall’intera pianta, è contrario al diritto dell’Ue.
“Uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi”.
L’unica eccezione può essere giustificata da un obiettivo di tutela della salute pubblica ma non deve eccedere quanto necessario per il suo raggiungimento. Quindi di cosa stiamo parlando? Per quanto in Italia si continui ad andare controcorrente, l’onda della legalizzazione è inarrestabile ed è ormai giunta in Europa.
Fonti: