- Détails
- Écrit par : Francesco Nicoletta
- Catégorie : Cannabis e cultura
Mutazioni genetiche della cannabis

Batteri, funghi, animali e vegetali sono accomunati da un fattore fondamentale, il DNA.
Esso consiste in una doppia elica microscopica che contiene le informazioni genetiche del soggetto, in pratica una specie di libretto delle istruzioni degli esseri viventi in cui sono scritte le informazioni con cui le cellule si dividono e si organizzano per formare i tessuti e gli organi che compongono il corpo.
Nel nostro corpo abbiamo circa 3 720 000 000 000 000 000 metri di DNA che per risolvere il problema dello spazio, ha pensato bene (per natura o provvidenza divina) di risolvere il problema della sua lunghezza avvolgendosi e formando strutture denominate cromosomi, contenuti nel nucleo di ogni singola cellula. La cannabis, così come la specie animale, è caratterizzata da un comportamento diploide. Generalmente in ogni set genetico vi sono due cromosomi ereditati da entrambi i genitori e questo fa sì che le caratteristiche dominanti di una particolare varietà di cannabis siano ereditate dalla generazione precedente. Gli studi su questa tipologia sono ancora in fase iniziale, ma ci possono offrire delle informazioni interessanti. La ricerca vuole esplorare i possibili benefici della cannabis poliploide, ed in particolare, si stanno esaminando le differenze fra le normali piante femmine e le femmine poliploidi durante la fase della fioritura. Le indagini si concentreranno su molti aspetti, fra cui:
- la comparazione della facilità di crescita;
- il contenuto di cannabinoidi,
- il contenuto di terpeni e le dimensioni del raccolto.
Gli studi preliminari.
Nel 2017 uno studio dall’università di Kerman, in Iran, ha messo in evidenza dei discreti risultati preliminari. In tale esperimento una pianta di canapa diploide fu trattata con una sostanza denominata colchicina, la quale induce nelle cellule la poliploidizzazione. A seguito del trattamento furono ottenute delle piante tetraploidi che presentavano discrete variazioni morfologiche. Ad esempio, le piante tetraploidi presentavano stomi che sarebbero le aperture sulle foglie che consentono l’assorbimento dell’anidride carbonica e il rilascio di ossigeno, grandi circa il triplo rispetto alle piante diploidi. Inoltre, l’area delle foglie e il peso delle radici risultava leggermente superiore rispetto a quelle diploidi.
Un secondo esperimento condotto nel 2019 in Canada dalla Dottoressa Jessica L. Pasons e il suo gruppo, ha messo in evidenza risultati abbastanza simili. In questo caso per innescare la poliploidizzazione fu utilizzato l’Oryzalin, un erbicida che in determinate dosi induce la poliploidia. I risultati in questo caso mostravano un’altezza della pianta e delle foglie abbastanza simili, mentre risultava più rilevante la densità dei tricomi per mm2: nelle piante tetraploidi risultava superiore di un 40% rispetto a quelle diploidi. A livello di rapidità di maturazione dei tricomi e di peso delle infiorescenze non vi furono grosse differenze tra le due varietà. Lo studio mise in evidenza il quantitativo di cannabinoidi e terpeni presenti nella pianta ed in particolare, si notò che nelle infiorescenze tetraploidi era presente un quantitativo di CBD di 70mg/g, mentre nelle infiorescenze diploidi 64mg/g. Anche il numero dei terpeni totali risultava essere superiore nelle varietà tetraploidi: circa 12 mg/g contro i 9mg/g delle varietà diploidi. Nel caso delle varietà tetraploidi si notò che la quantità dei singoli terpeni variava molto da campione a campione, pur mantenendo costante la quantità di terpeni totali tra i campioni analizzati.
Grazie a questi due studi preliminari si può intuire che la strada per ottenere piante poliploidi performanti da un punto di vista delle produzioni di metaboliti terapeutici e quantità di infiorescenze sia ancora lunga ma non impossibile. Un piccolo incoraggiamento deriva dal leggero aumento di tricomi e dal leggero aumento di terpeni e CBD nelle varietà tetraploidi e grazie a questi piccoli risultati nei prossimi anni si evolverà la selezione e lo sviluppo di tali varietà e magari tra qualche anno potremmo acquistare presso i nostri growshop di fiducia le prime piante poliploidi; anche se c’è da sottolineare che le autofiorenti e le femminilizzate attuali presenti in commercio non deludono mai le aspettative né dei consumatori né dei coltivatori.
Le variazioni genetiche più comuni.
Ma un grower navigato non è di certo neofita quando si tratta di parlare di genetica, del resto anche nei ceppi di cannabis tradizionale si possono verificare “strani e curiosi” risultati di errori di decoding genetico. Non è raro che una piantina di cannabis spunti dal terreno mostrando delle mutazioni ma a volte si possono presentare anche più tardi nel ciclo di vita delle piante. La maggior parte di queste curiose caratteristiche genetiche non hanno un grande impatto sulla produzione dei fiori e dei cannabinoidi. Ma esistono persino mutazioni che una volta verificatosi interrompono la crescita della cannabis, o alcune giungono fino a farle assumere un aspetto del tutto diverso da quello che ci si aspetta da questa pianta, pur continuando a produrre fiori.
Albinismo.
A volte può capitare che la vostra pianta di cannabis, proprio come gli esseri umani, i cani e qualsiasi altro animale, possa esprimere albinismo. Questa è una mutazione che porta alcune parti delle piante di cannabis a non produrre clorofilla e ad apparire albine. Questa mutazione di solito può verificarsi solo su una parte della foglia perché se tale mutazione colpisse la totalità della pianta non sarebbe in grado di sopravvivere. Il Colore verde è dato dalla clorofilla ed un soggetto che esprime albinismo non ne produrrà, ed essendo un elemento essenziale per il sostentamento del vegetale, senza di essa non potrebbe vivere. Nella storia evolutiva della cannabis durante i primi anni di breeding del CBD, era una mutazione molto comune da trovare perché l’albinismo e la produzione di CBD sono entrambi tratti genetici recessivi difficili da isolare l’uno dall’altro nel breeding selettivo.
Buds nelle foglie.
Consiste nella crescita di fiori sulle foglie ed è una mutazione molto comune da incontrare. Essa permetterebbe alla pianta di produrre fiori sulle foglie che andranno ad incidere sulla resa rendendola più debole. Questi buds anziché nascere negli internodi, si situano sulle foglie e non hanno mai un peso e un volume interessante; infatti, molti i growers tendono a rimuoverle portando la pianta a dirigere l’energia della produzione ai buds che crescono tra gli internodi caratterizzati da una resa migliore e un peso superiore. Detto questo, esteticamente resta una mutazione molto carina e che non influenzerà le normali tempistiche di maturazione della vostra pianta di cannabis.
Semi poliembrionali.
Questo fenomeno si chiama poliembrionia ed è qualcosa che può accadere tanto nelle uova quanto nei semi di cannabis. Nonostante sia una mutazione genetica rara non è del tutto insolita, esiste comunque qualche vantaggio nel trovare due piantine nello stesso seme durante la germinazione. Una delle due piantine che spunta dal seme sarà la progenie normale dell’incrocio della genetica dei suoi genitori, e quindi la piantina attesa dal seme. L’altra piantina in realtà potrebbe essere considerata come un clone che risulta identico alla madre, è dunque possibile separare queste due piantine e fare in modo che entrambe crescano e abbiano uno sviluppo normale.
Ma che cos’è la poliploidia?
Tutte le informazioni riguardanti un essere vivente sono scritte nel DNA. Questo fornisce indicazioni riguardanti lo sviluppo e il funzionamento di ciascun organismo e si compatta in strutture chiamate cromosomi. Gli esseri umani, ad esempio, ereditano 23 cromosomi da ciascun genitore; i cromosomi si legano a coppie, formando così 23 coppie che contengono il nostro corredo genetico. Gli organismi i cui si legano a coppie vengono chiamati diploidi, mentre quelli in cui si legano a gruppi di 3 o più vengono detti poliploidi. Di base anche la cannabis è un organismo diploide, ma in alcune circostanze i cromosomi possono legarsi in numero maggiore, generando quel fenomeno che è la poliploidia.
Una volta preso consapevolezza delle varie mutazioni genetiche di una pianta, il corredo genetico non diploide sembrerebbe garantire alcune particolarità rispetto alle classiche piante femmine: la pianta cresce più rapidamente, produrrebbe più infiorescenze di ottime dimensioni e con un alto contenuto di terpeni e cannabinoidi. I semi poliploidi rappresentano quello che potrebbe essere un approccio completamente nuovo alla coltivazione della nostra amata pianta. Considerate comunque che sarebbero necessari diversi anni di lavoro in laboratorio per creare, stabilizzare e valutare i risultati dei poliploidi, ma questo non lo rendere una cosa impossibile.
Uno dei motivi principali di questa tipologia di ricerca, consiste nel creare varietà di cannabis poliploide con il conseguente aumento del vigore delle piante, migliorandone la resa e la potenza delle colture. Applicando questa maggiorazione dei set cromosomici nella cannabis potrebbe consentire diversi tassi di crescita e un maggiore contenuto di cannabinoidi rispetto a quelli tradizionali. Dagli articoli precedenti abbiamo potuto notare come ormai la cannabis sia un business multimiliardario con grossi target medici e ricreativi, e dunque, qualsiasi metodo per migliorare la resa e la potenza viene preso in seria considerazione. In questo momento, tuttavia, i semi poliploidi sono ancora in fase di sperimentazione, ma è ragionevole pensare che nei prossimi anni si potrà assistere al loro ingresso sul mercato. Ovviamente i primi a trarne beneficio saranno i grandi produttori, che potranno incrementare la produttività e la qualità delle loro piante di cannabis. Non è comunque insensato pensare che in un futuro non troppo lontano la poliploidia possa essere una qualità sfruttabile anche dal grower casalingo, in una piccola rivoluzione simile a quella che fu l’introduzione dei semi femminizzati.
La maggior parte dei grower compra pochi semi di cannabis ogni anno e si concentra su di essi per ottenere il massimo rendimento e la massima potenza; quindi, i semi di cannabis poliploidi potrebbero essere tanto attraenti le coltivazioni domestiche che quelle aziendali. Questo tipo di genetica potrebbe risultare rivoluzionaria dopo la scoperta dei semi femminilizzati; attualmente sono in corso ricerche nel tentativo di creare la genetica di cannabis perfetta, ed i ricercatori sperano che i semi di cannabis poliploide possano produrre piante con una maggior contenuto di cannabinoidi e rese maggiore rispetto agli altri semi. Dunque, la cannabis poliploide sarebbe la prima varietà di cannabis senza semi, che non li produce nemmeno se viene a contatto con il polline. E secondo le prime reazioni della stampa Usa si tratta di cannabis che utilizza la tecnologia triploide per giungere a questo risultato e permettere alla cannabis con alti livelli di THC di essere coltivata outdoor su ampie superfici sl pari di altre colture senza preoccuparsi dell’impollinazione delle piante.
Nella storia dell’evoluzione della cannabis inizialmente vi erano solo i semi di cannabis regolari, che producevano piante maschi e femmine in ugual numero. Ma negli anni ’90, Dutch Passion creò i primi semi di cannabis femminizzati che all’epoca furono considerati una rivoluzione poiché più convenienti per i coltivatori. Al giorno d’oggi le genetiche femminilizzate, sono considerati lo standard e vengono utilizzati dalla maggior parte dei coltivatori. Di scoperta più recente sono i semi di cannabis autofiorenti, non fotoperiodiche, che hanno avuto molto successo e hanno reso la coltivazione di cannabis più facile e più veloce per coltivatori indoor e outdoor. L’interesse per il Cannabidiolo o CBD ha permesso di produrre anche semi di cannabis CBD-rich che si sono rivelati estremamente utili, specialmente per i coltivatori di cannabis terapeutica. Se gli sforzi dei coltivatori di cannabis e dei ricercatori daranno i loro frutti, i semi di cannabis poliploide potranno essere la prossima grande evoluzione nel mondo della coltivazione della cannabis, poiché l’interesse scientifico nei confronti della scoperta cresce di pari passo con l’aumento del valore dei mercati della cannabis medica e ricreativa.
La poliploide per quanto possa avvalersi per il suo sviluppo di ricerche scientifiche specifiche, viene ricercata applicando tecnologie diverse dalla modificazione genetica (OGM). Sviluppare colture geneticamente modificate note come “colture OGM” o “colture biotecnologiche” significa andare a modificare il DNA in modo complesso, utilizzando costose tecniche di ingegneria genetica ad alta tecnologia, utilizzata prevalentemente su alcune colture alimentari per aumentare la resistenza ai parassiti, alla siccità. La poliploidia è un fenomeno già presente in natura. Le colture del grano, per esempio, sono un buon esempio di poliploidia naturale, il grano duro è il risultato dell’ibridazione di due specie diploidi diverse. Esso è stato coltivato dall’uomo per migliaia di anni e la coltivazione ha generato colture diploidi, tetraploidi ed esaploidi (set cromosomici composti da 6 cromosomi).
Fonti: